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Intervista a Salvo Fallica, autore di "Vi racconto Paternò. Una metafora del Sud"

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Il 25 Settembre , presso la chiesa di S. Caterina a Paternò, il giornalista Salvo Fallica presentava il suo libro “Vi racconto Paternò-Una metafora del Sud” (Ludovico Lizzio editore). L’opera si inserisce all’interno della nuova collana editoriale “Gli Istant Book” che l’ editore ha voluto creare attraverso il binomio cartaceo e multimediale con la versione E-Book presto disponibile sulle piattaforme di vendita presenti sulla rete.
Zona Franca vi propone l’ intervista all’autore che con spirito critico analizza gli aspetti peculiari della sua città, evidenziandone pregi e criticità.
Leggere il titolo del libro impone il recupero del messaggio sciasciano. Quanto deve a Sciascia e alla sua Sicilia, metafora non esplicita del mondo? (“Il più grande peccato della Sicilia è stato ed è sempre quello di non credere nelle idee. Qui, che le idee muovono il mondo non si è mai creduto. Ci sono naturalmente delle ragioni, delle ragioni di storia, delle ragioni di esperienze. Però è questo che ha impedito sempre alla Sicilia di andare avanti. Il credere che il mondo non potrà mai essere diverso da come è stato. Ora siccome questa sfiducia nelle idee, anzi questa mancanza di idee, ormai si proietta su tutto il mondo. In questo senso per me la Sicilia ne è diventato la metafora.) La Sicilia, e dunque Paternò che di essa è metafora, fluttua ancora tra le onde di quell’ immobilismo a cui, storia e letteratura l’ hanno condannata?
“La domanda colta ed ampia pone delle questioni fondamentali. Non v’è alcun dubbio che la riflessione sciasciana influisce sulle riflessioni critiche su questa terra, la grandezza della razionalità neo-illuministica di Sciascia è ancora da analizzare in tutte le sue plurime sfaccettature e da riscoprire. Sciascia individuò dei limiti dei siciliani nel crogiolarsi nei luoghi comuni, stereotipi triti e ritriti sul fatto che il cambiamento non è possibile. Tutti i luoghi del mondo cambiano continuamente. Non esiste un posto senza storie. La Sicilia è uno dei luoghi con più storie del mondo, testimoniate da una cultura plurisecolare e dai beni culturali archeologici e monumentali. Dalla ricchezza della lingua (e dei tanti linguaggi), dalla grandezza della sua tradizione letteraria. Ma non è tutto. Negli ultimi decenni alcune delle imprese più innovative ed importanti del Sud si trovano tra il Catanese ed il Ragusano, dall’alta tecnologia dell’Etna Valley all’agroalimentare, alla meccanica di alta precisione. In Sicilia vi sono imprese molto importanti ed innovative come la Dolfin che negli ultimi anni con il cioccolato ed i famosi “polaretti” ha conquistato i mercati dell’estremo Oriente. Si trova a Giarre e Riposto. Ancora, due giovani paternesi-catanesi, i fratelli Fazio (Elisa e Flavio), che hanno inventato una modalità più innovativa e semplice del “sito fai da te”, hanno creato un’azienda di alta tecnologia a Catania e sono diventati un fenomeno internazionale. Hanno assunto giovani di Catania e Paternò semplicemente per la loro bravura, in gran parte laureati alla facoltà di Ingegneria di Catania. Avevano la possibilità di fare la loro sturt-up nella mitica Silicon Valley in California, ed invece hanno scelto la loro terra. Perché nel mondo dell’high tech puoi lavorare da qualunque parte del mondo. Anzi, loro spiegano che a Catania l’affitto per la sede dei loro uffici costa due tre-volte meno rispetto a Milano, Roma, Parigi. Loro sono una testimonianza vivente che si può fare e si può innovare. Andrebbero portati in tutte le scuole per far capire ai giovani di non arrendersi ai luoghi comuni e credere nelle loro idee. Il punto è che la scuola italiana non mostra agli studenti come le idee possono trasformarsi in concreti progetti. Vi è un gap di cultura economica in Sicilia e nel resto d’Italia. Bene, gli amministratori locali dovrebbero capire che il loro compito non è solo quello di curare le lampadine, coprire le buche (se vi riescono), ma anche di creare le condizioni infrastrutturali, materiali ed immateriali per lo sviluppo. La classe dirigente deve studiare di più, capire come il mondo cambia, come la società civile sia più avanti della politica. Oggi Sciascia con il suo senso acuto della realtà non parlerebbe più di una Sicilia irredimibile, ma di una Sicilia che pur fra tante contraddizioni e difficoltà ha potenzialità positive. Andrea Camilleri spiega che in realtà anche quella famosa frase di Sciascia è stata male interpretata, in realtà l’illuminismo razionalista di Sciascia era più forte del suo pessimismo. Al di là di questi aspetti, la luce della speranza vi è sempre, soprattutto quando vi sono trasformazioni tecnologiche epocali quali quelle attuali.”
Indagare Paternò e le sue dinamiche storiche, politiche e sociali diventa in qualche modo specchio di un’indagine rivolta alla Sicilia. Può allargarsi, questo specchio? Deformarsi, fino a comprendere l’intero Paese o noi Siciliani continuiamo a essere isola?
“Paternò è una metafora della Sicilia e del Sud, nel senso che è una realtà con forti contraddizioni ma anche potenzialità positive. Vi sono realtà siciliane che sono molto più avanti di Paternò perché hanno saputo programmare sul piano delle politiche economiche, infrastrutturali, sociali e culturali. Le classi dirigenti locali (non solo la politica) negli ultimi 5-6 lustri non hanno più saputo programmare e non hanno compreso che di fronte alla crisi economica del settore agrumicolo bisognava puntare su un nuovo modello. Vi è chi ha puntato sulle zone industriali, chi su quelle commerciali ed artigianali, chi sul turismo e la cultura. Paternò è rimasto nel guado, e non ha saputo nemmeno innovare nel settore agrumicolo, rafforzando il settore dell’agroalimentare che ha punte d’eccellenza che esportano a livello nazionale ed internazionale”.
Il siciliano\paternese di oggi cosa ha modificato rispetto al se stesso di cinquant’anni fa?
“Nel mio libro vi è il racconto degli ultimi due anni della vita di Paternò, riflessioni su politica, cultura ed economia, vi è anche la storia, ma vi è soprattutto l’analisi del presente. Vi è un racconto critico e libero della realtà. Non voglio addentrarmi nell’ambito antropologico. Dico solo che il giornalismo è racconto ed interpretazione critica del mondo, delle cose che funzionano e di quelle che non funzionano. Come è noto a Paternò le cose che non funzionano sono molte, compito di chi fa questo mestiere è raccontarlo senza nascondere nulla. Smontare la propaganda con equilibrio è il compito del giornalismo e della cultura. Essere imparziali o tentare di esserlo non è assumere l’atteggiamento di Ponzio Pilato, non si può voltare lo sguardo da un altro lato se vi sono cose che non funzionano. L’amore per la città non deve mai offuscare la vista lucida di chi fa questo mestiere. Altrimenti si cade nel tifo da stadio o nel campanilismo anacronistico e fuori dalla storia”.
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