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Il dramma dei profughi attraverso l'obiettivo di Alessio Mamo

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Chi ha voglia di raccontare, solitamente, osserva, legge e scruta. La maggior parte delle volte, però, lo fa in silenzio; da lontano. Ti capita poi di conoscere chi, invece, la notizia la prende dal campo; decide di sentirla con le proprie orecchie, sceglie di percorrere sentieri spinosi con i propri piedi. Alessio Mamo, fotografo siciliano, ha fatto questa scelta aggiudicandosi la sezione “giornalisti siciliani emergenti” al premio internazionale di giornalismo Maria Grazia Cutuli. Alessio, dal 2008, segue tematiche sociali, politiche ed economiche. Il suo ultimo progetto ha documentato l’esodo dei rifugiati siriani. Partendo dalla Sicilia, ha percorso con una famiglia di rifugiati siriani la Turchia, la Grecia, la Macedonia, la Serbia, la Croazia, la Slovenia, l’Austria, fino ad arrivare in Germania. L’avventura creerà un reportage fotografico capace di raccontare, grazie al suo monocolo, cosa hanno visto gli occhi di altri.
Noi lo abbiamo incontrato per un’intervista chiedendogli, come prima battuta: cosa ha visto durante quei quarantuno giorni con il suo compagno di viaggio, Somar.
Ho visto gente stanca di avere la paura negli occhi, desiderosa solo di un po’ di tranquillità. Somar e le sorelle scappano da una guerra che sta portando milioni di siriani a fuggire dalle loro terre, interrompendo sogni e aspettative”.
Un viaggio lungo, faticoso e costoso; dove non sono mancati momenti di 
paura. Cosa ti porta a spingerti così tanto?
La ricerca della verità. Non quella che vedo in televisione o che ascolto in radio. Mi piace andare nei luoghi caldi, cercando di comprendere gli avvenimenti e magari raccontarli in maniera oggettiva con le mie fotografie”.
Il momento più bello che ricordi?
“Quando Somar ha ricevuto la telefonata delle sorelle appena sbarcate nell’isola di Kastellorizo, in Grecia. Questa tratta di mar Egeo è poco raccontata dai media, ma tante sono state le vittime negli ultimi mesi. Somar sapeva il rischio che le ragazze stavano affrontando, quella telefonata è stata per tutti un momento indimenticabile di gioia”.
Sei tornato a casa con un giubbotto che non era il tuo, cosa deduci da questo? 
“Che diventi parte della storia che stai raccontando. Arrivi a sentirti uno di loro”.
La diversità, secondo te, cosa è? 
“Un’opportunità. Da ciò che non conosciamo, perché diverso, possiamo imparare tanto. Io ho imparato molto di più stando a contatto con società lontanissime dalla mia cultura, piuttosto che da quella dove sono nato e vivo”.
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