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Di sarti e di tradizione artigianale a Paternò

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Giovan-Battista-Moroni-Il-Sarto-1570-ca.-Londra-National-Gallery
 
Di recente la città di Bergamo ha ospitato una mostra che ruota intorno al capolavoro di Moroni: il Sarto; figura di artigiano del tessuto che in passato, prima del prêt-à-porter, ha avuto un ruolo sociale rilevante. E noi di sarti vogliamo dire, perché Paternò vanta un’antica tradizione sartoriale: erano 48, negli anni 60, le sartorie di artigiani (Stancanelli, Galvagno, Anfuso, Russo, Romano, Castelli, Stendardo, Randazzo per citarne solo alcuni) che tenevano a bottega tanti giovani come i signori Bellia, Trovato, Campisano, Longo e il signor Calì, che abbiamo incontrato.
Giuseppe Calì ci racconta che si cominciava poco più che bambini a frequentare le botteghe artigianali imparando l’arte del mestiere e perfezionandola nel tempo. Scopriamo che quegli artigiani, che hanno fatto la storia della sartoria della nostra città, erano quasi tutti originari di Centuripe e Troina, trasferiti a Paternò perché offriva maggiori opportunità, “all’epoca Paternò ci sembrava una metropoli”, ci dice sorridendo. Ci spiega la differenza fra lo stilista, che disegna l’abito, e il sarto che materialmente lo realizza. Alcuni sarti sono anche stilisti, come lui che è stato modellista per Versace, ha lavorato a Milano confezionando capispalla e abiti per personaggi come il fotografo Oliviero Toscani, quando l’abito sartoriale definiva lo status sociale. Ha rappresentato la Sicilia al festival della moda di Sanremo. Lui che ha ottenuto riconoscimenti per la qualità del suo lavoro, apparso su riviste settoriali come le storiche Arbiter e Bazar. Dal 78 ha la sua bottega di sartoria, oggi in via Santa Lucia. Ideatore del marchio Kale’s con il quale ha prodotto abiti prêt-à-porter femminili, e sartoriali maschili.
Ci spiega che il termine sartoriale definisce un capo confezionato in sartoria da un sarto. E sottolinea che non ha niente a che vedere con la produzione industriale in serie che però oggi usa impropriamente il termine per scimmiottare l’artigianato e conferire lustro al capo.  “L’abito sartoriale lo fa il sarto”.
Ci racconta come un tessuto, pezzo per pezzo, diventa un abito partendo dalla sagoma di cartone, caratteristica (quest’ultima) del suo modo di procedere, perché, precisa, il cliente dev’essere disturbato il meno possibile per la prova dell’abito. E ci insegna che per riconoscere la qualità di un capo bisogna valutare la tecnica sartoriale con la quale è stato realizzato.
Giuseppe Calì, attraverso Zona Franca, vuole comunicare un messaggio ai giovani, e renderci partecipi di una sua aspirazione. Il messaggio è un invito ad avvicinarsi all’artigianato, ai mestieri antichi, alla passione, al valore e alla qualità del lavoro. L’aspirazione è un laboratorio sartoriale che accolga i giovani e chiunque abbia la voglia di apprendere l’arte di trasformare un tessuto in un abito.
È un sarto con la voce roca e la passione per la musica, il signor Calì, sognava di cantare a Sanremo; il suo genere è quello dei crooner, e pertanto concludiamo con passione, con un verso di under my skin, di Frank Sinatra, uno dei grandi crooner: Ti ho sotto pelle, ti ho nel profondo del cuore.
Giuseppe Calì
( Giuseppe Calì)