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Strage di via D'Amelio, il significato della Memoria 24 anni dopo

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A 24 anni dalla strage di via D’Amelio in cui furono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, diverse iniziative ricordano le vittime dell’eccidio. A seguire riportiamo una riflessione di Carmelo Caruso sul senso e il significato della memoria come opportunità di riscatto.
“Oggi è il 19 luglio, data dell’anniversario della strage di via D’Amelio, quella in cui, nel 1992, Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta (Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina) furono uccisi da cosa nostra.
Come ogni 19 luglio (così come ogni 23 maggio ed alcune altre date) tutti gli italiani, e in particolar modo noi siciliani, ci accingiamo a ricordare, commemorare il giudice Borsellino e, con lui, un po’ tutte le vittime della mafia.
In un altro periodo avrei partecipato anche io a questa mobilitazione collettiva per ricordare allo stesso modo degli altri: con un’immagine del profilo facebook, un tweet, una marcia o fiaccolata. E niente di più. Non è così in questo periodo. Attenzione, non dico che non userei, o non uso, ancora queste forme di espressione della mia memoria, ma non riuscirei, e non riesco, a fermarmi lì.
Da qualche anno a questa parte all’avvicinarsi di queste date (ma anche in altri momenti) mi faccio una domanda: “qual è il senso di questa commemorazione?” O meglio: “quale senso dobbiamo, o vogliamo, dare a questo momento?”
Perché io, specie negli ultimi tempi, sono diventato un maniaco del senso, un ossesso del significato. In un contesto in cui si fa fatica a trovare il senso di molte cose, ne sono alla sua costante ricerca. Alla ricerca di una giustificazione, una motivazione, una ragione per cui debba succedere qualcosa.
In modo particolare, quest’anno un mio caro amico, Luigi, mi ha fatto riflettere ulteriormente su questo aspetto. Era a Palermo il 23 maggio del ’92, mi racconta, ed ha vissuto in prima persona quegli attimi, insieme a tante altre persone che per diversi motivi si trovavano lì quel giorno. Ha visto le immagini e sentito le parole che molti palermitani e sciliani non riusciranno a dimenticare, anche se non ci dovessero più essere immagini del profilo di facebook, tweet, conferenze, marce e manifestazioni come promemoria. In questi 24 anni che sono passati da allora, si è sempre chiesto come si possa dare un senso a tutto ciò che aveva visto e sentito. E, dunque, ritorna la domanda: quale dovrebbe essere il senso del ricordare ogni anno?
Quest’anno abbiamo avuto la fortuna e il privilegio di poter incontrare Salvatore Borsellino, a Paternò il 23 maggio scorso. Nei giorni precedenti, durante la fase di organizzazione di uno dei suoi incontri con i cittadini paternesi, mi è frullato in testa frequentemente il dilemma del senso che quella giornata avrebbe dovuto avere a tutti noi. Poi, fortunatamente la giornata ha portato da sé la risposta a questo dilemma. Salvatore ci ha raccontato di come lui ha vissuto quei giorni d’estate del 1992, di come sua madre avesse piantato un albero sotto casa, quello che oggi è chiamato l’albero di Falcone e Borsellino, e lo avesse curato insieme ai palermitani che passavano da lì come testimonianza che quotidianamente si trasforma in cura. Ci ha raccontato del suo senso di colpa per aver fatto una scelta diversa da quella del fratello, lasciando la Sicilia e Palermo perché non gli piacevano e non gli offrivano un futuro e della sua scelta di impegnarsi per porre rimedio a questo, cercando di recuperare, di ridare senso!
Poi, durante quel pomeriggio, ognuno ha raccontato il proprio senso, quello che generalmente attribuisce a quel momento di memoria. E ciascuno ha parlato di concretezza, di azioni semplici ma costanti, di resistenza alle avversità. Ecco, forse è questo il senso: fare in modo che i ricordi e le parole, ripetuti nel tempo, si diventino azioni e trasformino la realtà. Per questo, come ci ha detto padre Nuccio, la memoria ha senso se diventa memoriale, ovvero testimonianza che diventa azione. Le cose, se ci pensiamo, le ricordiamo perché non succedano più (se sono brutte) o perché succedano ancora (se sono belle). Insomma c’è di mezzo sempre l’azione del succedere.
Quindi quello che io mi chiedo è: cosa posso fare per trasformare la mia memoria in azione? Ed è la domanda che invito tutti a fare a se stessi. Io una mia risposta penso di averla trovata: penso, da capo scout, che la strada più efficace per fare ciò sia l’educazione, trasmettere i valori in cui credo, costruire una cultura di amore, rispetto e comunità, vivere coerentemente con questi valori e testimoniarli.
Ognuno, ovviamente, ha il suo modo di essere memoriale vivente, nel proprio ruolo: chi, come Ignazio Cutrò, fa l’imprenditore e denuncia il pizzo, chi come il Sindaco di Troina Fabio Venezia (e tanti altri sindaci) o come il presidente del Parco dei Nebrodi Antoci, ricopre ruoli istituzionali e fa rispettare le regole, chi come Emanuele Feltri fa l’agricoltore e non si piega alla mala delle campagne, chi, come tanti cittadini di questa città, fa parte di un’associazione o di un gruppo o movimento civico promuove la cultura della collaborazione, della partecipazione alla vita civica e politica, della cura del Bene Comune come armi contro l’illegalità. E questi sono solo alcuni che mi vengono in mente, perché li ho incontrati sulla mia strada o perché vivono nel mio territorio, ma ce ne sarebbero tanti altri, anche sconosciuti, o meno citati, perché fanno cose che la società ritiene meno eclatanti ma che sono comunque importantissime.
E allora ognuno di noi chieda ogni giorno a sé stesso come può essere memoriale vivente, e si ricordi di farlo insieme agli altri e mai da solo! ” Carmelo Caruso
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