Ascolto della buona musica rilassata sul mio divano e una sorta di misteriosa serenità mi avvolge. Non so se conoscete questa sensazione che solo le mura di casa nostra, spesso, riescono a regalare.
Ecco, la casa, definita anche: abitazione, dimora, appartamento, alloggio, nido, rifugio, conforto o “rizzetto”, per noi gente sicula.
Poi penso in grande e le mura diventano strade, la camera da letto giardini, la sala da pranzo piazza.
In pratica, trasformo, anche se solo idealmente, la città in qualcosa d’intimo, direi, quasi privato. Trasporto in essa un grande senso di appartenenza, la stessa voglia di sentirmi al sicuro. Fare parte di un circuito più grande, assoluto. Certo, questo avviene nella mia mente dove non si tagliano gli ulivi in maniera barbara, come quelli di piazza Umberto a Paternò, solo perché rischiavano (come è stato detto) di distruggere non solo il vaso di pietra lavica in cui è ancora deposto, ma le mattonelle della piazza. Poiché è ancora lì collocato, mi chiedo, perché la fretta di amputarlo e non aspettare il periodo ideale di potatura, gennaio, e privare prematuramente di un piccolo decoro verde lo spiazzale. Paternò, come tanti altri luoghi sicuramente, soffre della sindrome dell’incompletezza. Sì, vengono iniziati progetti e lavori senza un vero e proprio criterio razionale, la logica sembra non essere presa in considerazione. Un altro esempio a caso, Piazzale dei Diritti Umani, quel parchetto simpatico di fronte l’ospedale, da anni inaccessibile a causa della folta vegetazione che lo ha reso paragonabile a una giungla urbana. Ecco, qualche settimana fa sono state potate le palme, ma non tutte per evitare di esagerare, e il materiale è rimasto accatastato sulla strada, intralciando l’arteria viaria nella circolazione e nei parcheggi. Qualcuno penserà che sono esagerata considerato che il materiale secco è rimasto lì poco più di una settimana; per non parlare del fatto che l’interno del parco non è ancora stato pulito, dunque, il tutto rimane impraticabile. Dettagli, direbbe qualcuno. Ci sono cose più importanti e primarie, come le strade. Bell’argomento quello delle arterie viarie, ultimamente mi fanno più tenerezza del solito a causa dei lavori per la posa della fibra ottica; lavori che hanno creato sul manto stradale una sorta di cicatrice per l’intera città. Uno sfregio che, quando sarà ricoperto, immagino riparerà soltanto la sezione dello scavo. Vabè, ma cosa posso pretendere, in fondo mica siamo eterni. Muoiono le persone, figurati se non possono morire le cose. Mi consola il fatto che, dopo la dipartita, saremo tutti condotti al campo santo. Lì sì che saremo al sicuro. O quasi, visto che molte tombe crollano e non ci sono abbastanza controlli, per mancanza di personale. Ovviamente queste sono voci che si mormorano, come quelle che giudicherebbero lo stesso cimitero assoggettato dall’incuria o l’intera collina storica assolutamente non valorizzata e abbandonata a se’ stessa. Magari un giorno, accortasi della sua trasandatezza, diventerà vivente e cercherà di suicidarsi dal castello normanno. Forse sto esagerando con l’immaginazione, non devo perdere la testa. L’ha già fatto, tempo fa, il mezzo busto di Dante Alighieri sito a piazza S. Barbara.
Pensate che sia troppo polemica? No, facevo solo delle considerazioni nero su bianco.
Ipotizzo, però, che la possibilità di istituire un binomio città/casa possa essere un volano utile a sensibilizzare i luoghi e paesaggi, una rete e un lavoro a livello non solo locale, capace di recuperare ciò che è lasciato allo stato di abbandono.
Per dirla come Renzo Piano: è importante rammendare il tessuto dei paesi sperduti e le periferie della città.
Non mancano gli spazi, non siamo privi d’idee, siamo stanchi di cose incompiute. Adesso abbiamo bisogno di regole, è arrivato il momento di progettazioni concrete.
Cultura e società
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