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La storia scrigno delle bellezze nostrane. Il carretto siciliano ispira il Maestro Barbaro Messina

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Riapre una pagina di storia la nuova collezione di ceramiche del maestro Barbaro Messina “La lava si riempie di colore”. L’ispirazione, questa volta, arriva da un “carretto siciliano”. Bisogna tornare indietro nella storia esattamente nel 1937, ricorreva il XV° anno dalla nascita del fascismo. In Sicilia, nell’agosto del 1937, arriva il Re e il principe Umberto. Ma soprattutto, dopo il 1924 torna Benito Mussolini. La visita del duce è minuziosamente preparata, l’isola si para a festa, l’attesa è spasmodica per l’arrivo del duce. Memorabile quel 12 agosto, proprio da Catania Benito Mussolini dice che per la Sicilia non ci sarà nessun regime speciale, ormai il Nord e il Sud non esistono e «dopo l’Italia sono stati fatti gli italiani».  Nella cronaca dei giornali dell’epoca si legge della «impetuosa accoglienza» di Catania e dell’ingegnere Michelangelo Mancini, il quale preparò minuziosamente l’accoglienza. Fra le tante manifestazioni d’affetto verso il duce, si racconta di un carretto siciliano realizzato dalla maestranza paternese, portato fin sotto il palco, proprio davanti a Benito Mussolini, il quale vetturino il paternese Giuseppe Marletta (Puddu quadaruni), con grande maestria arrivato davanti al duce, con un colpo di zotta (frusta) fece impennare il cavallo a mò di saluto sbigottendo persino il duce. Quel carretto fu consegnato in dono al duce, ma per le note e triste vicende che seguirono poi, la guerra e la catastrofica fine del fascismo, quel carretto rimase a Catania. Il carretto siciliano solitamente è composto dal fonnu di càscia, cioè il pianale di carico, due masciddàri (dal siciliano mascidda, “mascella”) ovvero le sponde fisse del carretto, e un puttèddu (portello posteriore) removibile. Ogni masciddaru è suddiviso equamente in due scacchi (i riquadri in cui vengono dipinte le scene). 6 in legno chiamati barrùni equamente divisi fra masciddari e putteddu, due in metallo denominati centuni presenti solo sui masciddari. Questa sezione “contenitiva” sormonta il gruppo portante del carretto chiamato traìno, il quale comprende le aste e la cascia di fusu, a sua volta costituita da una sezione di legno intagliato sormontata da un arabesco di metallo. Fra le aste sotto i tavulazzi vengono montate due parti in legno chiamate chiavi, una anteriore ed una posteriore. La prima altro non è che una semplice barra ricurva, la seconda invece consiste in un bassorilievo intagliato rappresentante una scena, solitamente cavalleresca, che può assumere diversi gradi di pregevolezza.
Il cavaliere Luigi Maina, nella sua stanza al primo piano del Palazzo degli Elefanti, è custode geloso di alcuni pezzi di quel carretto siciliano, realizzato per farne dono a Mussolini. Anche dopo 80 anni, ma non li dimostrano, si conservano con la brillantezza dei colori sgargianti come appena fatti, pezzi per anni dimenticati negli scantinati del Castello Ursino, poi abbandonati nella falegnameria del Comune, infine prima di essere destinati nella spazzatura l’emerito cerimoniere li ha riportati alla luce, ospitandoli nella sua stanza. I pezzi di cui prende ispirazione il maestro ceramista Barbaro Messina sono; un sopra fuso arabesco con le mensole, due sponde masciddaru, e un funnu di cascia. Carretto siciliano realizzato su commissione nel 1937, scolpito da Francesco Astuti con i fratelli, Simone e Liberto. Dipinto da don Antonino Liotta e il ferro battuto, forgiato da Sebastiano Russo, scene che raccontano di Rizzieri nell’impresa di liberare Fioravanti, tutta opera della maestranza paternese. Pezzi di carretto di grande bellezza e che al giorno d’oggi sono rari oggetti d’arte artigianale e che racchiudono in se, la storia antropomorfica dei siciliani e della Sicilia.
Non era difficile tra la fine del 1800 e la prima metà del secolo breve, trovare bravi carrideri a Paternò. Questo il probabile motivo per cui fu commissionato agli artigiani paternesi, il carretto di Mussolini.  In ordine alfabatico troviamo Francesco Aiello, Nzuddu (Vincenzo) Anicito pittore, i fratelli Francesco (scultore), Liberto (carrozziere) e Simone Astuti con la bottega in via G. Verga. Turi (Salvatore) Bellissimo. Don Carmelo Brasile (testa di tummino). Turi (u baccalaru) Ciancitto. Vincenzo Ciaramella (pittore). Salvatore Cosentino. Salvatore Distefano. Pippo Fallica. Pippino Mazzamuto u suddunaro (la scocca) Concetto Messina. Francesco Nicolosi. Sebastiano Russo detto frasciami (firraru). Angelo Sciacca. Giuseppe soldano genero di Leotta pittore. Giovanni Sorbello, Eugenio Tomasello e Alfio Villani suddunari. Virgillito detto tramola. Alfio Virgillito e Saro Vittorio pittori. Di Antonino Liotta scrive Barbaro Conti: Morto a 63 anni. Fu apprezzato pittore di carretti siciiani, che istoriava con gioiose e drammatiche raffigurazioni dei poemi e pici e cavallereschi, con scene e personaggi immortalati da poeti e musicisti, sempre cari e vivi nel cuore, nella fantasia, nell’immaginazione genetica e memoriale del popolo siciliano. Don Antonino Liotta dipingeva folkloristici carretti in piazza san Giovanni ai lati della via Strano. Nell’arte decorativa del carretto fu un maestro e, forse, uno dei più rinomati rappresentanti della pittura eroico-cavalleresca del novecento in Sicilia.