Intervista a don Maurizio Pagliaro, parroco di San Giovanni Bosco in Paternò, in cui ci spiega la sua giornata tipo, la sua solitudine, le sue preoccupazioni ed ansie, ma anche la voglia di non abbattersi e di cercare di trarre qualcosa di positivo da questo periodo difficile.
Come sta vivendo questa pandemia e questo isolamento e come si svolge la sua giornata?
Vivo questo periodo in solitudine da quando l’Italia è stata dichiarata zona rossa. La mattina non mi alzo ad un orario preciso perché non ho impegni da rispettare, inizio la giornata facendo le mie preghiere, poi leggo e studio fino all’ora di pranzo. Nel pomeriggio mi reco in chiesa per la messa, poi quando torno in canonica dedico il mio tempo facendo alcune telefonate a persone che in questo periodo hanno subìto lutti oppure a tutti coloro che non riescono ad utilizzare i social. La sera, dopo cena, guardo un po’ di tv e poi provo a dormire, dico provo perché non riesco a riposare bene, un po’ per preoccupazioni e ansie varie e un po’ perché è cambiato il mio modo di vivere le giornate.
In questo momento di difficoltà come esprime la sua vicinanza ai fedeli?
Cerco di essere presente tramite le dirette in streaming della messa. La comunità parrocchiale è rimasta unita in molti modi, ad esempio con le videoconferenze e attraverso alcune iniziative quali il banco della solidarietà. Abbiamo dato un aiuto concreto anche con dei buoni spesa e dei buoni per la farmacia per quelle famiglie più bisognose della parrocchia.
Quanto è stato difficile celebrare la messa senza la presenza della comunità?
È difficilissimo. A tal proposito non dimenticherò mai la celebrazione del sabato santo di quest’anno. Al canto del gloria ho voluto accendere tutte le luci della chiesa come se fosse la vigilia di Pasqua degli scorsi anni. Sarebbe bastato illuminare solo l’altare, cioè il luogo dove ero io. Quando la luce ha illuminato le panche vuote, allora là ho pianto perché ho sentito la mancanza della mia comunità. Quel momento mi ha veramente fatto male.
La comunicazione passa attraverso il web… e la parola di Dio?
La Parola di Dio è comunicazione. È un annuncio gioioso che passa attraverso la voce di una persona. Io presto la mia voce a Dio per arrivare agli altri. Non cambia nulla se utilizzo il microfono della chiesa oppure una videocamera. Poi sta a chi riceve la comunicazione essere predisposto a ricevere bene la Parola di Dio. La comunicazione funziona anche sul web. È normale che manca la relazione con i fedeli, ma la Parola di Dio può arrivare in qualsiasi posto. Tantissimi italiani hanno visto le immagini di Papa Francesco quando lo scorso 27 marzo pregò da solo in piazza San Pietro e venne annunciata la Parola di Dio. Quel messaggio di speranza è arrivato a tutti.
Lei, come molti altri parroci, sta utilizzando le dirette streaming sui social per celebrare le funzioni religiose. Ha avuto modo di confrontarsi con altri parroci su come poter ulteriormente sfruttare internet per poter restare vicini ai fedeli?
Ci sono stati colloqui, sempre tramite videochiamate, con altri sacerdoti. Se da una parte si pensa a come poter utilizzare al meglio queste modalità di comunicazione, dall’altra si riconosce che bisogna avere mezzi adeguati. Ci sono alcuni confratelli che preferiscono trasmettere solo la messa domenicale proprio perché non hanno una grande competenza tecnologica e sono costretti a limitare le proprie possibilità. Da parte mia, riuscendo a trasmettere in maniera dignitosa la diretta domenicale, ho voluto trasmettere la messa tutti i giorni. Riesco così a coinvolgere le persone della parrocchia e far sentire loro la Parola di Dio. A volte riesco a far vedere loro anche immagini a loro care. In questo mese di maggio, ad esempio, molti mi ringraziano perché sto celebrando la messa ai piedi della statua della Madonna. I fedeli si sentono così meno abbandonati. Internet, da questo punto di vista, è un’ottima opportunità, però una chiesa è fatta di contatti, di gesti e di segni, per cui credo che la pastorale debba continuare ad utilizzare i mezzi di comunicazione appunto solo come comunicazione.
L’intero Paese sta attualmente vivendo la fase 2, e dal prossimo 18 maggio sarà possibile partecipare alle celebrazioni liturgiche in chiesa. Ma quali sono modalità per poter partecipare alle celebrazioni? E questa nuova situazione cosa comporta?
Le modalità per poter partecipare fisicamente alle celebrazioni sono specificate nel decreto che è stato firmato dal governo e dalla CEI, tuttavia come diocesi di Catania aspettiamo le ultime direttive da parte del nostro vescovo, Monsignor Gristina. Sicuramente questa situazione comporta uno sforzo fisico e psicologico significativo. Ci vuole innanzitutto molta attenzione per cercare di fare le cose per bene. Si deve cercare di contenere il numero giusto di persone in chiesa ma allo stesso tempo accontentare tutti i fedeli, infatti se prima in chiesa potevano accedere circa 150 persone, adesso, per mantenere la distanza di almeno un metro l’uno dall’altro, non potranno essere più di 30, forse anche meno. Una delle ipotesi che sto valutando è di celebrare la messa all’aperto, dato che la chiesa dispone di un ampio cortile. Naturalmente non potrò fare tutto da solo, ho bisogno dei collaboratori della parrocchia che mi aiutino per sistemare il tutto al meglio ed in sicurezza e faccio appello anche alla maturità dei fedeli, che dovranno mettere in atto quelle che sono le normali precauzioni igienico-sanitarie indicate, quindi dovranno armarsi di mascherine e guanti e non dovranno fermarsi dopo la celebrazione a parlare tra loro creando assembramenti.
Come lo scorso anno, in questo periodo, la parrocchia era in procinto di vivere diverse attività… quali progetti ha in serbo per i più piccoli e per le famiglie della comunità?
La parrocchia, in questo periodo come lo scorso anno, era al culmine delle proprie attività pastorali. Alcune delle attività in programma sarebbero state il campo parrocchiale, la Peregrinatio Mariae, le missioni popolari e la progettazione del grest, ma tutto ciò non è stato possibile. Dopo un primo momento di smarrimento, i vari gruppi si sono attrezzati con le videochiamate e le videoconferenze. In progetto c’è la possibilità, non c’è ancora nulla di sicuro tuttavia, di poter fare un grest 2.0, cioè attraverso delle piattaforme web, ed impegnare così le prime due settimane di luglio almeno per i bambini del catechismo. A livello pastorale, inoltre, stiamo studiando un’applicazione che verrà inviata a tutti i gruppi parrocchiali e a tutti i fedeli che ne faranno richiesta. Questa applicazione prevede una serie di domande a cui rispondere. Verranno chieste ai fedeli quelle che, secondo loro, possono essere le indicazioni per poter ripartire come comunità parrocchiale. La storia ci insegna, e noi la stiamo toccando con mano, che da un giorno all’altro la nostra vita può cambiare. Allora bisogna cominciare a vivere la nostra fede con più coerenza e nello stesso tempo bisogna adoperarsi a fare del bene a coloro che il Signore ci mette accanto, senza trascurare ovviamente la relazione con Lui.
Qual è la prima cosa che farà alla fine di questa quarantena?
Sicuramente la prima cosa che farò sarà trascorrere qualche giorno con mamma e papà, che non vedo dall’8 marzo. Quella sera ho celebrato la messa, ho chiuso la chiesa e poi ho scoperto che tutta l’Italia era zona rossa. Non li vedo fisicamente da allora ed ho tanta voglia di riabbracciarli, anzi colgo l’occasione per salutarli anche da qui.
Quale messaggio vuole dare ai suoi fedeli, dagli anziani, alle famiglie fino ad arrivare ai giovani?
Agli anziani e a coloro che vivono in solitudine chiedo di avere pazienza e di offrire al Signore questa difficile situazione. Alle famiglie chiedo di non perdere mai la speranza, mentre ai giovani dico di trarre qualcosa di prezioso da questo tempo. Cerchiamo di capire l’importanza delle persone che nella nostra quotidianità abbiamo trascurato solo per pensare invece a noi stessi. Ricordiamoci sempre che dal nostro impegno dipende il futuro dell’altro. Ciascuno di noi fa parte di un disegno e se ognuno non svolge bene il proprio compito alla fine rovina il disegno che in realtà è di tutti, per cui al momento dobbiamo sforzarci di essere meno spavaldi e di restare a casa, non è ancora il momento di uscire. Purtroppo in questo periodo a Paternò non tutti hanno capito la necessità di restare a casa. Stiamo vivendo la fase 2, però non dimentichiamo che la nostra troppa fretta di incontrarci e di uscire potrebbe farci sprofondare nuovamente nella fase 1, e questo comporterebbe non solo un tracollo a livello economico ma anche, e soprattutto, psicologico.
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